Un Sogno "sismico"

Ciao a tutti. Primo post sul primo blog.
Bhe, certo prima o poi si deve cominciare da qualche parte ed in qualche modo. Sogni da vivere è il titolo di questo blog, ed in verità non so perchè, forse solo perchè i sogni mi piacciono, ma anche perchè è bello vivere sognando...ma senza esagerare. Il problema principale adesso è di cosa parlare. Si, perchè di cose da dire ne ho parecchie, ma da quale cominciare? E' questo il vero dilemma!!! Ma come detto l'importante è cominciare e poi tutte le parole si metteranno in fila da sole, probabilmente loro già sanno cosa devono fare. Ed è così infatti che fanno, quasi quasi si scrivono da sole e si mettono in linea una dietro l'altra, sperando che abbiano un senso.

E così, tanto per cominciare, posso dire che di sogni ne abbiamo tutti, ma spesso non sono come ce li aspettiamo, ed a volte non sono neanche belli, ma fanno lo stesso parte della nostra vita. E quando questi brutti sogni si trasferiscono nella realtà riescono a cambiarcela la vita.
Comincio proprio così questo blog, con il racconto di un sogno, di quelli brutti, che si sono trasformati in realtà. Eccolo qui di seguito

"Finalmente un po’ di sole, forse sta arrivando la primavera. Ormai è la fine di marzo e questo inverno è stato lungo, molto lungo. È pomeriggio e siamo quasi tutti in casa: chi fa i compiti, chi gioca, chi guarda la televisione, insomma ognuno sta facendo qualcosa di molto normale. Manca solo una di noi, si trova ancora a scuola ed è quasi ora di andarla a prendere.
Un’altra volta, e questa è più forte. Ormai è un appuntamento quotidiano, ogni giorno si fa sentire, ma questa volta era forte. Non ci agitiamo più di tanto, però bisogna sbrigarsi perché è ora di andare a prenderla a scuola. Torna dopo una mezz’ora ed è ancora tutta sudata e rossa in faccia. Certo, perché è rimasta per venti minuti sotto il banco, così come le hanno insegnato in mille esercitazioni.
Io me ne devo andare, il lavoro mi aspetta e in città c’è agitazione, è un momento particolare perché ci fa visita sempre più spesso.
Ho finito, è già buio e a casa stanno già dormendo tutti. Le ultime “chiacchiere” prima di salutarci e … no, ancora. Questa volta mi agito. Non per il fatto in se né per la sua intensità ma perché mi assale il pensiero che loro stanno dormendo e non so cosa può succedere senza che se ne accorgano prima che io arrivi. Prendo la macchina e corro verso casa cercando qualche segno, un lampione o un cartello che ballano, per rendermi conto di cosa succede. Non ne vedo di “segni” ma continuo a guardare i lampioni, loro possono sempre darmelo. Arrivo a casa e tutti dormono, meno male, ma sono ancora agitato. Dopo un po’ mi metto a letto e mi addormento, con il pensiero di cosa poteva o potrà succedere. Certo nessuno ci pensa, almeno seriamente, ma in realtà l’ansia ci assale tutti per qualche istante della giornata. Il mattino dopo sono tranquillo, ed anche loro, anche perché oggi hanno chiuso le scuole. Meglio così.
La settimana trascorre abbastanza tranquilla. È domenica mattina, una bella domenica di sole, sembra proprio che la primavera sia arrivata. Sarà una domenica spensierata. Non ci alziamo tardi perché dobbiamo andare fuori, abbiamo un appuntamento per andare a mangiare insieme e qualche chilometro lo dobbiamo fare. La giornata trascorre con serenità e ormai è tardi: è ora di tornare a casa. Salutiamo tutti e risaliamo in macchina. Arriviamo a casa e mi chiedo se faccia ancora in tempo a vedere le immagini del posticipo di serie A. Loro si preparano in fretta gli zaini, si cambiano e vanno subito a letto, hanno sonno, ed io accendo la televisione. Ancora!! E questa volta si è fatto sentire proprio per bene. Loro corrono giù dalle scale impauriti, ma io sono tranquillo e gli dico di non preoccuparsi, che possono tranquillamente tornare a dormire, anche se gli chiedo di aspettare qualche minuto con me solo per ridargli tranquillità. Gli spiego comunque cosa dovrebbero fare nel caso che …, anche se sanno come si devono comportare. Già quelle mille esercitazioni apparentemente inutili.
Però sono curioso della sua entità, perché questa volta si è sentito proprio bene. Non trovo notizie in TV e non riesco a collegarmi in internet così chiamo chiedendogli di verificare in rete ma al momento non ci riescono.
Ormai dormono tutti ed io mi metto sul divano per guardare qualche immagine della giornata di campionato. Ma come al solito mi addormento.
Oddio... devo svegliarli, si devono svegliare. Urlo i loro nomi, si devono svegliare, ed intanto corro verso di loro. Non vedo bene, sembra che il corridoio sia pieno di acqua ed io vi sia completamente immerso, ma si devono svegliare, continuo ad urlare i loro nomi e correre. Salgo le scale e mi giro verso le camere urlando ancora i loro nomi. Li vedo, sono tutti lì, in fila sotto la porta. Mi rendo conto che i 30 minuti che ho impiegato per svegliarmi e correre da loro in realtà sono durati neanche 5 secondi. Hanno uno sguardo strano, ma lo ricordo solo ora, guardano in avanti senza alcuna espressione. Basta, questa volta basta, anche perché lui continua. Raccogliamo quattro vestiti e li indossiamo vicino alla porta in un paio di secondi. Lui continua ed ho deciso di portarli via. Ognuno prende una cosa al volo, cose che magari non servono a niente. Chi gli spazzolini da denti, chi il Nintendo, chi le schedine. Penso ora che tutti hanno preso qualcosa, ma nessuno ha preso niente per se. Sono tutte stupidate ma sono per qualcun altro. Dopo aver cercato con la luce del cellulare esco. Abbiamo due coperte, una bottiglia di acqua, il cellulare e le sigarette. Loro sono già usciti e quando esco io rimango sorpreso. Si perché c’è tutto il paese fuori. Saliamo in macchina e ci allontaniamo di corsa. Voglio portarli via ma aspetterò l’alba. Ora non so esattamente dove andare, un’idea l’avrei ma dovrei passare sopra un ponte ed ho paura. Durante i 10 minuti di macchina ne incontro moltissime altre, sono tutti in giro. Vedo davanti a me delle esplosioni o comunque dei lampi circolari molto vasti con il centro di colore rosso. Si ripetono diverse volte. Vedo un parcheggio libero e mi fermo. Scendiamo dalla macchina. Fa molto freddo e tremiamo tutti. In realtà non so se il tremore sia dovuto solo al freddo. Piano piano il parcheggio si riempie. Persone giovani e anziane, vestite o in pigiama. Tutti ci chiediamo cosa sia successo. Comincia il triste concerto di sirene e luci blu. Ne vedo da tutte le parti. Ho paura che il parcheggio sotto sia vuoto e lui continua, continua, continua. Non si ferma mai e ci costringe alla sua continua danza. Fa freddo, la danza va avanti, le sirene suonano, il rumore della danza ci investe perché non riguarda solo noi ma anche i muri, gli allarmi partono. Loro piangono e li stringiamo a noi. Cerchiamo di tranquillizzarli, ma cosa vuoi tranquillizzare si vede cosa succede. Non c’è ancora nessuna possibilità di usare il telefono, poi all’improvviso comincia a squillare. Arrivano le prime notizie da lontano, le dirette TV stanno cominciando a parlarne e cominciano anche i dubbi. Si perché il telefono non prende bene e quando lo fa è sempre occupato, le TV stano dando la notizia ed io non so se svegliare e far preoccupare e non svegliare e rischiare di far preoccupare di più. Le notizie continuano … qualcosa è caduto… Sento qualche amico … sembra tutti bene. Le telefonate continuano… altre notizie … ci sono morti. Lo dico a lei ma mi si forma una diga in gola. Le parole non riescono a uscire come vorrei, ma alla fine ce la faccio, tutte d’un fiato e mi nascondo dietro una sigaretta. Alla fine mi faccio coraggio e decido di avvertire. Mi risponde “hai saputo che c’è stato?” rispondo “No, tu hai sentito il mio”. Arriva il giorno, ed ormai è deciso che devono andare via. Torniamo a casa, devo cercare di prendere qualcosa. In macchina accendo la radio e sento che stanno approntando “le tendopoli”. È la parola più innocente ma è quella che mi fa più male di tutte. Questa volta le parole non vogliono proprio uscire ma gli occhi si fanno rossi. Arriviamo a casa, allontaniamo loro e saliamo io e lei ma il mostro continua ad urlare imponendoci la sua danza. Ancora tutti in macchina e questa volta è per fuggire lontano. Nel viaggio continuano ad arrivare notizie ed è sempre più tragedia. Sento dentro di me la necessità della fuga, sento che ci sta inseguendo e devo fuggire, ma so che non è così. Arrivo vicino casa sua e mi devo fermare, devo avere un attimo di pausa. Così chiamo “Ehi siamo vicino casa tua, me lo fai un caffè?”. Poco dopo siamo lì e devo vedere cosa sta succedendo, mi dice “ma dai adesso è meglio di no” ma devo vedere. Accende la TV vedo poche immagini e la voce si blocca di nuovo, gli occhi si arrossano, mi nascondo ancora dietro una sigaretta ed esco. Mi calmo e rientro. Ma devo fuggire non so dove devo andare ma ci devo andare adesso. Risaliamo in macchina e partiamo. Quando siamo vicino a casa loro li avverto che stiamo per arrivare, ma ci fermeremo per poco tempo. Camminiamo verso casa e loro sono davanti a me. Quando arriviamo si stringono forte a loro ed io … mi nascondo ancora dietro una sigaretta, a testa bassa per nascondere gli occhi di nuovo colmi. Ma ho ancora voglia di scappare. Partiamo ancora, siamo arrivati ma non sembra essere cambiato niente. Sento ancora la danza nelle gambe e sento ancora la voglia di fuggire. Troverò il coraggio per tornare? Troverò il coraggio per farli tornare?
È passato qualche giorno ed apro la mia mail. Mi colpisce subito quella e la apro. Quella sera avevo telefonato per saperne l’entità e mi aveva risposto dicendomi quello che volevo sapere salutandomi così “Vi do la buona notte e spero lo sia” ed un brivido mi corre lungo la schiena.
E' così che un sogno ha cambiato la vita, il sogno di una notte... di quella notte
L’Aquila, 6 aprile 2009.

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